Macbeth (2016) – Recensione
“ONORE AL RE!”
Per chi non avesse letto per piacere, studiato a dovere o eventualmente entrambi, la seguente recensione, diversamente da quanto sono solito fare, contiene degli spoiler. In ogni caso, chi non conoscesse una delle storie più cupe e sanguinose che il nostro amico William (o chi per lui ma a noi non interessa…) ha scritto è caldamente invitato a colmare tale lacuna, per semplice ricchezza o maturazione personale.
La nuova versione cinematografica di Macbeth firmata Justin Kurzel vede come azzeccati interpreti un Michael Fassbender perfettamente calato nel suo ruolo di protagonista e una Marion Cotillard dal talento innegabile, cui tuttavia poteva essere concesso maggiore spazio espressivo. Due attori estremamente in gamba catturano l’attenzione dello spettatore, in sequenze che sia attraverso la colonna sonora, sia attraverso la scenografia, sia attraverso i solenni dialoghi e monologhi cercano inevitabilmente di creare un film d’effetto.
Siamo in un periodo medievale-barbarico non storicamente precisato in cui la Scozia è dilaniata dalla guerra civile, placata dal valoroso barone di Glamis, Macbeth, lodato dal re Duncan per le sue doti di guerriero onesto e fedele. Terminata una sanguinosa battaglia, egli accompagnato dal suo compagno e amico Banquo incontrano nella brughiera le tre… no aspetta, perché quattro? Non ci è dato di sapere… riprendiamo, quattro figure, tre donne e una bambina (e che ci fa una bambina? Mah…): le spettrali e mostruose Parche della tragedia sono state trasformate in persone decisamente comuni, che salutano Macbeth con il titolo che gli appartiene, ma anche profeticamente con quello di barone di Cawdor e infine quello di re, mentre Banquo come padre di futuri re pur non essendolo lui stesso. L’enigma che lascia sbigottiti i due guerrieri si avvera prima di quanto si aspettano loro stessi, sia per mano di altri (il barone di Cawdor viene ucciso da traditore e il suo titolo passa a Macbeth), sia per mano di Macbeth stesso, che uccide ospite re, ospite nel suo accampamento, facendo ricadere la colpa sulle sue guardie e il sospetto sul futuro principe. L’istigatrice è la stessa Lady Macbeth, una delle dark ladies più imponenti che la letteratura abbia mai creato, la quale non si aspetta tuttavia che la violenza del marito e nuovo re possa essere così esplosiva e incontrollabile a tal punto da riversarsi sul suo fedele Banquo e su qualsiasi oppositore.
La storia continua e diventa via via più sanguinosa e terribile, se ne potrebbe parlare molto più nel dettaglio, ma torniamo al film. Il regista ha indubbiamente cercato di trovare un compromesso anche piuttosto ben riuscito tra una pellicola d’autore e lo stile più “americano” dei film di guerra, oscillando tra scene troppo gratuitamente ad effetto e sequenze interessanti, muovendosi con destrezza dai campi lunghi su ventose brughiere e maestose montagne ai primi piani cui viene affidato tutto il pathos shakespeariano. Eppure mi chiedo: se si ha a disposizione una sceneggiatura e una storia già perfette e pronte in ogni dettaglio, scritte dal drammaturgo-mostro sacro della cultura occidentale, che bisogno c’è di cambiare? Certo, l’abilità del regista sta nel reinterpretare, ma non elementi di una trama già più che autosufficiente e immensa.
Non vedevo l’ora di vedere il delirio di Lady Macbeth perseguitata dai sensi di colpa, nel disperato tentativo di lavare via il sangue dalle quali la responsabilità criminale stenta a venir via, volevo vedere il crollo della donna sanguinaria e temibile, che aveva rimproverato il marito di non essere un uomo. Non vedevo l’ora di vedere l’evoluzione, l’ascesa e lo sgretolamento di questa figura tragicamente imponente. Troppo poco spazio viene lasciato alla talentuosa Marion Cotillard, che muore senza che venga offerta una spiegazione, poco dopo la visione del loro bambino, di cui si vede il funerale a inizio film. (Non ricordo scene simili nel testo…mah!)
È rischioso e poco corretto reinterpretare un testo del genere con omissioni di passi drammaticamente importanti e aggiunte di dettagli poco rilavanti come la bambina in mezzo alle Parche come espediente narrativo funzionale alla salvezza del figlio di Banquo, ucciso invece dai sicari nella foresta. Le capacità registiche ci sono, si vede, come nell’accostamento della colonna sonora a determinate inquadrature o sequenze alla ricerca di un effetto consistente, perché sprecarle in un frequente ricorso alla stucchevole slow motion? Rischiamo di prendere poco sul serio il risultato finale in cui Shakespeare è direttamente coinvolto.
Mi chiedo poi perché il soprannaturale così insolito e innovativo per il teatro elisabettiano sia stato così poco valorizzato e normalizzato con l’antropomorfismo. Non mancherebbe materiale traducibile in effetti speciali: le Parche, lo spirito evocato per la seconda enigmatica profezia, lo spirito di Banquo che si mostra ai soli occhi di Macbeth al banchetto… è un vero peccato!
Infine, ammetto, non vedevo l’ora di vedere il bosco di Birnan avanzare verso la reggia di Dunsinane, l’effetto creato dai soldati che reggono rami e cespugli, tutto materiale di Shakespeare…e come me la interpreta? Il bosco avanza verso il castello nella misura in cui viene messo a fuoco e la cenere sospinta dal vento giunge alla fortezza.
Poetico in qualche modo, ma non William non si tocca. Questo non si fa.
Gabriele