Melevisione: la mostra per i 20 anni! Noi c’eravamo
Tutte le favole iniziano con C’era una volta… e quella del Fantabosco non fa eccezione. Dal 1999 ad oggi, questo programma non smette di insegnarci concetti fondamentali nella vita, cercando di veicolare il messaggio attraverso un lessico proprio.
Fin dal primo passo torni bambino, come se venissi trasformato di nuovo nella tua versione infantile da una bacchetta magica. All’inizio, non te ne accorgi molto bene, perché ci sono i cartonati dei vari personaggi che ti ricordano la verità: loro non esistono, era tutto finto. Poi sali le scale per il piano di sopra e sui muri bianchi campeggiano le scritte a rammentarti dove sei, al Fantabosco, accompagnate dalle foto dell’epoca con i soliti personaggi che un tempo erano la tua famiglia. E allora, mentre sali su, la statura comincia a diminuire come è successo ad Alice e gli abiti ora non ti stanno più stretti, ma larghi. Quello è il momento in cui non fai più caso all’inganno, ma ti immergi di nuovo in quel bambino che aveva un appuntamento ogni pomeriggio con la Melevisione dopo la scuola, poco prima di cominciare a fare i compiti.
E poi, si entra. A quel punto, niente è più reale di ciò che i tuoi occhi, carichi di meraviglia, hanno l’onore di poter vedere: gli oggetti originali di scena. Passeggi per i corridoi con la musica nelle orecchie, le canzoni che ancora conosciamo a memoria, le cui note danzano nella nostra testa. Ci sono i vestiti indossati da Milo Cotogno, Tonio Cartonio, gli abiti di Principessa Odessa, Principe Giglio, Fata Lina. Sui muri, invece, sono appesi gli schizzi preparatori per la scenografia o le lettere di Lupo Lucio, Orco Rubio, dei bambini di Città Laggiù, gli scritti dei folletti… Non manca nulla, è tutto come ti ricordavi.
Poi, si passa dall’altro lato, dove ci sono degli angoli dedicati ai vari personaggi, come quello di Strega Salamandra e Strega Varana, con il loro vecchio calderone magico. Ci sono anche oggetti appartenenti a personaggi secondari o il piccolo cartonato di Sciupafiabe in persona. Ci sono spade, scudi, chiavi, carrozze, navi, stemmi reali, forzieri, tutto quanto.
Allora, è a quel punto che la Melevisione prende vita, quando arrivi al chiosco, l’anima del programma. Ci sono lo Sputapallin sulla destra, la televisione con le mele sulla sinistra. C’è il bancone, lì nel mezzo, con le bibite sugli scaffali, quelle che diventavano colorate nei bicchieri ed ancora oggi ti chiedi con quale magia facessero questo trucco. C’è la cantina di Tonio lì dietro, che ti sei sempre domandato quanto fosse grande. Vorresti girarti ed urlare agli altri bambini: Guarda, c’è il bancone! C’è il bancone! Chiediamo una Scivolizia al Verme o un Bumbomele, ma è in quel momento che la voce ti muore in gola, perché ti sta passando di fianco Tonio Cartonio (Danilo Bertazzi). Lo riconosci subito, per via del suo tono di voce e ti senti un po’ a casa.
E poi, come conseguenza, arrivano tutti gli altri. Arriva Milo Cotogno (Lorenzo Branchetti), che nel giro di un minuto sta già firmando ogni autografo possibile ed immaginabile, mentre dietro di lui si rincorrono Linfa (Olivia Manescalchi), Fata Lina (Paola D’Arienzo), Lupo Lucio (Guido Ruffa), Principessa Odessa (Carlotta Iossetti), Balia Bea (Licia Navarrini), Re Quercia (Diego Casale), Ronfo (Giancarlo Judica Cordiglia), Orco Manno (Diego Casalis) e Lampo (Lorenzo Fontana). Forse quello è il momento in cui una parte di te si ricorda dell’incantesimo ed emerge giusto in tempo per farti emozionare. Hai gli occhi lucidi, mentre Milo e Tonio vengono intervistati insieme e li hai anche mentre chiedi una foto con ognuno di loro.
Attorno a te non ci sono solo bambini, ma persone di tutte le età. E mentre tu cresci di nuovo, ti accorgi che non è cambiato niente: la Melevisione continua a racontare storie a chi vuole ascoltarle. Alla fine, la magia è ancora dentro di noi, non se n’è mai andata.
E speri sempre che il bambino dentro di te sia fiero del cammino percorso.
Dopo aver spezzato l’incantesimo, abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Lorenzo Branchetti – che ringraziamo di nuovo per la sua gentilezza e disponibilità – e potete leggere qui sotto l’intervista. Buona lettura!
L’intervista a Lorenzo Branchetti, interprete di Milo Cotogno nella Melevisione
Com’è stato il primo periodo? Hai detto che non ti aspettavi che questo ruolo sarebbe stato così importante per la tua vita.
Il primo periodo è stato difficilissimo, perché sono arrivato a Torino che avevo 22 anni. Non conoscevo Torino, non conoscevo neanche una persona a Torino e soprattutto il gruppo andava già alla grande, erano tutti attori bravi. Io sono entrato in questo gruppo soprattutto sostituendo il ruolo del protagonista, quindi è stata un’eredità clamorosa. Non mi rendevo molto conto dell’eredità, perché non seguendo la “Melevisione”, non sapevo che fosse così importante, me ne sono accorto dopo. È stato molto difficile. Tornavo a casa e studiavo cinque ore per il giorno dopo, non ricordavo niente perché aveva tutto il suo linguaggio… quindi i primi mesi sono stati veramente difficili. Poi dopo sono entrato meglio nel Fantabosco e Milo è diventato pane quotidiano e a quel punto era tutto più semplice.
Quindi è stato difficile all’inizio, ma poi sei riuscito ad integrarti.
Sì, diciamo che il primo anno è stato difficile, poi dopo è diventato parte di me, Milo me lo sono un po’ cucito sulla pelle, come si suol dire.
Hai messo qualcosa di tuo nel personaggio?
Ho avuto un grandissimo regista, fortunatamente, che era Roberto Valentini – buon’anima – e Roberto Valentini tirava fuori… Il lavoro del regista è quello di tirare fuori in un attore il lato migliore per quel personaggio e lui mi ha aiutato tantissimo in questo, però mi ha aiutato facendomi, fra virgolette, “sgobbare”, quindi la ripetevo un sacco di volte e poi certo, ogni attore deve mettere del suo all’interno. Quindi Milo ti ripeto è molto Lorenzo e Lorenzo è molto Milo, però per arrivare a questo c’è stato un grande lavoro dietro e tanto tempo, mesi e mesi. Ora sono Milo e Lorenzo insieme (ride).
Ho visto che ti sei emozionato tantissimo prima, quando avete fatto l’intervista. È bello vedere gli attori che ci tengono quanto lo spettatore.
Ma sì, anche perché fa parte della vostra infanzia ma fa parte anche della nostra vita questo programma. L’affetto di tutti voi per me vale più di qualsiasi altra cosa.
Ti faccio un’altra domanda: non so se ti ricordi l’episodio di Fata Lina… (mi precede ricordandomi il titolo, ossia Il Segreto di Fata Lina), ne Il Segreto di Fata Lina avete affrontato dei tempi sensibili, così come in altri episodi. Quanto pensi sia importante parlarne ad un pubblico di così giovane età? In che modo è giusto affrontare un argomento del genere e come ti sei preparato tu quando hai dovuto farlo?
Guarda, la differenza è che noi siamo attori e siamo interpreti di un testo, di un messaggio in questo caso, che è scritto da autori che hanno lavorato su questo testo con degli psicologi, quindi comunque ci sono degli educatori che hanno lavorato su questo testo. È importante quello che siamo riusciti a fare grazie al linguaggio delle favole: abbiamo dimostrato che le favole si può parlare a tutti i bambini di qualsiasi argomento fra cui le molestie sessuali, la morte, la separazione dei genitori, i bambini adottati… Abbiamo parlato di tutto grazie a questo linguaggio. Quindi è fondamentale, secondo me, fare un lavoro di scrittura con degli educatori e degli psicologi per poter parlare di questo anche ai bambini, perché è un messaggio che i bambini possono poi ritrovare utili anche nella vita e ti assicuro che quando abbiamo fatto “Il Segreto di Fata Lina”, tanti genitori ci hanno contattato e scritto dicendoci grazie, perché “Io grazie a questa puntata mi sono sentita di tirar fuori quello che tenevo dentro”. Il messaggio era di chiara denuncia di un fatto grave, cosa che invece molti per paura non fanno. Per noi è stato molto difficile, perché il testo non poteva essere un po’ modificato, doveva essere quello, quindi la preparazione è stata decisamente più intensa e precisa. È stato bello lavorare su una cosa del genere, però. È una cosa che probabilmente potevamo fare solo noi, col nostro linguaggio.
Vi lascio qui sotto una galleria di foto e video dell’evento sulla Melevisione.
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Erica